Yayoi Kusama: oltre ogni confine

words: Lidia Pedron and Laura Macetti

I primi passi nel mondo dell’arte

«Era come ritrovarsi in un mondo parallelo, volevo immortalare in immagini le scene appena viste. Avevo decine di album pieni di quelle allucinazioni: mi aiutavano a placare lo stupore e la paura. Era così che nascevano i miei disegni» [1] 

Yayoi Kusama nasce nel 1929 a Matsumoto, nella prefettura di Nagano, in Giappone. La sua è una famiglia benestante ma tradizionalista, che svolge su di lei una notevole influenza nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza. È proprio per sfuggire alla rigida impostazione familiare che la piccola Kusama inizia ad approcciarsi all’arte. Quest’ultima diviene presto per lei un rifugio dal comportamento austero della madre – che disapprova fermamente l’indole anticonvenzionale della figlia – e contemporaneamente uno sfogo alle allucinazioni che la tormentano. Fin dalla giovane età Yayoi Kusama soffre, infatti, di severi disturbi psichici che l’accompagneranno per tutta la vita.

Crescendo Kusama raggiunge la consapevolezza di voler lasciare il Giappone per potersi dedicare al mondo dell’arte ed esprimere appieno tutta la propria creatività, lontano dalle severe limitazioni impostele dalla famiglia. Fondamentale in questa fase sarà la corrispondenza epistolare che la giovane inizia a intrattenere con l’artista americana Georgia O’Keeffe, alla quale, in cerca di consigli, invia alcune delle sue opere e confida il proprio desiderio di voler visitare gli Stati Uniti.

L’ avventura americana: un universo a pois

«Ciò che volevo affermare era che dipingendosi pois sul corpo quegli esseri umani si annullavano, tornavano alla natura universale» [2] 

Nel 1957 Kusama arriva negli Stati Uniti con pochi soldi nascosti nei suoi kimono, che usa per trovarsi un alloggio e comprare il materiale necessario alla pittura. L’artista risiede per un breve periodo a Seattle, per poi trasferirsi a New York. Nella sua nuova stanza, Kusama trascorre i primi anni della sua vita statunitense dipingendo, spesso in preda a forti crisi depressive. Sulle vaste tele appoggiate alle pareti di casa traccia incessantemente una fitta rete di pois che, molte volte, finisce per superare i confini stessi del quadro, occupando lo spazio circostante: è questa la forma che assumono le creazioni di Kusama al di fuori della sua terra natale. L’artista inizia così il suo nuovo percorso oltreoceano dando vita a numerose opere di carattere profondamente introspettivo: le sue Infinity nets.

La pittura costituisce per Kusama la risposta a un istinto primordiale che la induce a riportare sulla tela le proprie fobie, esorcizzandole e trasformandole in altro, un’entità indefinita che non esercita più alcuna paura. A fungere da motore per le sue opere sono proprio le sue condizioni mentali: queste si basano infatti su un disturbo dissociativo che la porta a modificare la percezione di sé e ad avvertire un distacco da corpo e psiche. A tal riguardo, l’artista stessa si riferisce al proprio processo creativo in questo modo: «Per esempio, applicando pois su tutto il mio corpo e poi ricoprendo di pois anche lo sfondo io mi annullo (self-obliteration)» [3]. Con il termine auto-obliterazione, Kusama indica proprio la ripetizione ossessiva e infinita di un gesto fino all’annullamento di sé.

A partire dalla metà degli anni Sessanta, Yayoi Kusama amplia i propri orizzonti, trovando un nuovo veicolo comunicativo nel fenomeno nascente degli happening, forma d’espressione performativa fondata sull’improvvisazione; in questo contesto l’autoanalisi viene sostituita dal crescente desiderio di esprimere messaggi di pace e di liberazione sessuale. Si tratta di un approccio all’arte e alla vita molto diverso dall’educazione repressiva ricevuta durante l’infanzia, che costituisce per l’artista un atto di rivalsa e di autorealizzazione. Tutto ciò si concretizza nella nascita dei Kusama Happenings, all’interno dei quali ritorna il pois, questa volta dipinto come un leitmotiv sui corpi nudi dei modelli nel corso delle diverse performance. Questa nuova direzione non determina per Kusama un allontanamento dal linguaggio creativo espresso fino a quel momento, bensì una diversa maniera di comunicare: l’happening permette all’artista di esprimere a pieno sé stessa, riscattandosi dai vincoli sociali e culturali dell’epoca. Anche in questo caso i pois delineati sui corpi, come quelli precedentemente posti sulle tele, finiscono per valicare la superficie fisica sulla quale vengono ritratti, annullando qualsiasi differenza, spaziale e temporale.

Il ritorno in Giappone e la fama internazionale

«Fuori dal Giappone occupavo una posizione d’avanguardia, mentre lì non facevo altro che sbattere contro le spesse pareti del sistema e delle sue regole» [4] 

Il decennio degli anni Sessanta, così ricco di sperimentazioni, porta all’artista fama e numerosi inviti all’estero: sono questi a spingerla a viaggiare al di fuori dell’America e a visitare alcune tra le principali città d’arte d’Europa. Nel 1965, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, partecipa alla mostra collettiva Nul: 1965, dove ha modo di conoscere l’artista italiano Lucio Fontana [5]. Grazie a questo incontro Kusama ha la possibilità di partecipare, l’anno seguente, alla XXXIII Biennale di Venezia, con la sua installazione Narcissus Garden, composta da millecinquecento sfere di plastica specchiata.

A partire dagli anni Settanta le condizioni psicofisiche dell’artista peggiorano, costringendola a fare ritorno nel suo paese natale. Nonostante la fredda accoglienza e lo smarrimento iniziale, Kusama inizia un intenso percorso personale, per ritrovare nel Giappone moderno i luoghi della sua giovinezza e un nuovo stimolo creativo per la sua arte. Considerato il suo stato di salute, dal 1977 l’artista sceglie volontariamente di iniziare a vivere in un ospedale psichiatrico, il Seiwa Hospital di Tokyo, dove risiede ancora oggi.

Nel corso degli anni Ottanta l’opinione negativa dei connazionali su Yayoi Kusama comincia a mutare: le correnti dell’happening e della body painting da oltreoceano raggiungono anche il Giappone e nel 1987, presso il Museo d’arte di Kitakyūshū, nella prefettura di Fukuoka, viene organizzata la sua prima retrospettiva. Due anni più tardi anche a New York, presso il Center for International Contemporary Art, ha luogo un’importante mostra a lei dedicata, Yayoi Kusama: A Retrospective: è questa che la consacra definitivamente a livello internazionale come grande artista contemporanea.

Nel 1993 Kusama rappresenta il Giappone durante la XLV Biennale di Venezia, nel corso della quale presenta la celebre installazione Mirror Room (Pumpkin); in essa si ritrovano due elementi che risultano fondamentali all’interno della produzione dell’artista: le zucche, ricordo dell’infanzia trascorsa in campagna, e gli specchi, usati con lo scopo di ripetere all’infinto l’ambiente riflesso, superando i confini dello spazio.

Durante gli anni Novanta il nome Kusama diviene sempre più apprezzato e conosciuto: nel marzo del 1998 il Los Angeles Country Museum of Art le dedica una retrospettiva che raccoglie diciassette anni del suo lavoro (dal 1957 al 1975) [6]; a luglio dello stesso anno, questa mostra fa tappa al MoMa di New York e, nel 1999, arriva anche in Giappone, al Museo d’Arte Contemporanea di Tokyo.

Con l’inizio del nuovo millennio Kusama non smette di stupire grazie alle sue sculture monumentali e alle spettacolari installazioni, capaci di trasportare il fruitore all’interno del suo universo unico, fatto di colori e forme stravaganti.

Kusama oggi

Yayoi Kusama, che ha oggi novantatré anni, è ancora attiva a livello artistico: nonostante continui a condurre una vita ritirata all’interno dell’istituto psichiatrico, lavora incessantemente alle proprie creazioni, con lo spirito che l’ha contraddistinta per tutta la sua vita.

Artista innovativa e poliedrica, rifuggendo qualsiasi etichetta e categorizzazione, nel corso della sua lunghissima carriera ha dato sfogo al proprio desiderio di libertà, producendo una serie interminabile di opere dallo stile inconfondibile. Oltre che alle arti visive e performative, nel tempo si è dedicata anche alla scrittura, occupandosi sia di poesia che di prosa, e persino alla moda e al design, collaborando con celebri aziende internazionali.

Le sue immersive “Infinity Mirror Room” declinate, nel corso dei decenni, in molteplici versioni differenti e adibite ad ospitare feticci sempre diversi – dalle sue famosissime zucche fino a complesse installazioni di luci capaci di annullare completamente la dimensione spaziale – hanno aperto nuovi campi di indagine artistica orientati al coinvolgere ogni senso dello spettatore, persino la sua psiche.

La contemporaneità deve moltissimo a Yayoi Kusama: la sua incredibile operosità e la sua fiducia nel potere terapeutico dell’arte hanno dato un nuovo slancio alle possibilità che la nostra creatività ha nel far fronte all’incessante ricerca dell’umano.


Elenco immagini, Fonte: Wikimedia Commons

Immagine 1: Yayoi Kusama, Person of Cultural Merit, received the Order of Culture on November, 2016. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Yayoi_Kusama_cropped_1_Yayoi_Kusama_201611.jpg.

Immagine 2: The Spirits of the Pumpkins Descended into the Heavens, 2017. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Kusama_Yayoi_The_Spirits_of_the_Pumpkins_Descended_i nto_the_Heavens.jpg.

Immagine 3: Infinity Mirrored Room – Filled with the Brilliance of Life, 2011-17. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Yayoi_Kusama_(17014818385).jpg.

Immagine 4: Yellow Pumpkin, 1994 (Naoshima Island, 2016). https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Yayoi_Kusama_-_Pumpkin_(26726528766).jpg.

Immagine 5: Narcissus Garden Inhotim, 2009 https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Inhotim_yayoi_kusama_05.jpg.

Immagine 6: Obliteration Room, 2015. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Yayoi_Kusama_Obliteration_Room.jpg.

Immagine 7: Infinity Mirrored Room – The Souls of Millions of Light Years Away, 2013.https://commons.wikimedia.org/wiki/File:%27Infinity_Mirrored_Room%E2%80%94The_Souls_of_M illions_of_Light_Years_Away%27_2013_by_Yayoi_Kusama_– _The_Hirshhorn_Museum_(DC)_March_2017_(34420154200).jpg.

Immagine 8: Pumpkin, 2015. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Yayoi_Kusama,_Pumpkin,_2015_(37171698741).jpg.

Immagine 9: Distributore automatico firmato ‘Yayoi Kusama’, Matsumoto, 2013. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:YAYOI_KUSAMA_2_@_%E6%9D%BE%E6%9C%AC%E5% B8%82%E7%BE%8E%E8%A1%93%E9%A4%A8_(8706830980).jpg.


Note

  1. Yayoi Kusama, Infinity net. La mia autobiografia (Johan & Levi editore: Milano, 2013), 65.
  2. Kusama 2013, 65. 
  3. Kusama 2013, 33.
  4. Kusama 2013, 118.
  5. Marin R. Sullivan, “Reflective Acts and Mirrored Images: Yayoi Kusama’s Narcissus Garden,” in History of Photography 39:4 (2015), 407.
  6. Si tratta della mostra ‘Love forever: Yayoi Kusama 1958-1968’.

Bibliografia

Kusama, Yayoi. I want to live forever, Catalogo della mostra. Milano, 28 novembre 2009-14 febbraio 2010. Milano: Federico Motta Editore, 2009.

Kusama, Yayoi. Infinity net. La mia autobiografia. Milano: Johan & Levi editore, 2013.

Macellari, Elisa. Kusama. Ossessioni, passione, arte. Milano: Centauria Editore, 2020.

Poli, Francesco, ed. Arte Contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 ad oggi. Milano: Electra, 2003.

Sullivan, R. Marin. “Reflective Acts and Mirrored Images: Yayoi Kusama’s Narcissus Garden,” in History of Photography, 39:4 (2015): 405-423, DOI: 10.1080/03087298.2015.1093775.

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